
Corona virus; stiamo
perdendo la libertà. Anche di pensare.
Il potere non ha
nemmeno più bisogno di alzare la voce perché la perdita della
libertà non è più
avvertita come tale ma passa come grande senso di responsabilità
Un dispotismo statalista,
condiviso e terapeutico.
Questo il tipo di regime nel
quale ci troviamo immersi.
Perché parlo di dispotismo
statalista, condiviso e terapeutico?
Con la pandemia sono state
sospese le abituali procedure costituzionali e abbiamo
smesso di essere una Repubblica
parlamentare.
Lo strumento dei decreti della
presidenza del Consiglio ha assunto una centralità
e una preminenza assoluta.
È come se tutti (politica e
cittadini) di fronte a uno stress test avessimo proclamato
che diritti costituzionali di
libertà e parlamentarismo sono lussi che ci possiamo
permettere quando tutto va bene,
ma non di fronte a una grave difficoltà.
Poiché accanto alla disinvoltura
del governo nella sospensione dei diritti di libertà
c’è stata la naturalezza dell’opinione
pubblica nell’accettare il tutto, un nemico
della libertà può averne tratto
utili insegnamenti; è stato dimostrato che è molto
facile sospendere le garanzie
costituzionali e imprimere al sistema una svolta
in senso autoritario.
Se la situazione di emergenza si
dilatasse, sino a essere presentata e percepita
come la normalità, che cosa
succederebbe?
Chi può assicurarci che in futuro
un pericolo non potrebbe essere creato di proposito?
C'è il rischio che lo stato di
emergenza sia istituzionalizzato?
Di certo al nostro sistema
democratico liberale è stata inferta una ferita profonda,
ma pochi reagiscono.
Parlo di dispotismo perché il
governo ha assunto una centralità senza precedenti.
Ma che tipo di dispotismo è?
È un dispotismo condiviso, perché
opinione pubblica e mass media l’hanno
giustificato, assunto e fatto
proprio.
Così in un certo senso ha ripreso
vita il Leviatano di Hobbes, il colosso autoritario
che tutto controlla in cambio
della sicurezza che gli individui ritengono di non
essere in grado di darsi.
È anche un dispotismo statalista
perché tutto è stato demandato all’iniziativa statale;
l’iniziativa privata e dei corpi
intermedi non è stata nemmeno presa in considerazione.
Lo Stato è percepito come
istituzione non solo e non tanto gestionale, ma salvifica.
È poi un dispotismo terapeutico,
perché la Salute è divenuta un assoluto, il politico
ha preso le sembianze del medico,
il cittadino è diventato un paziente e la nazione
un ospedale.
Di qui un rapporto asimmetrico
che favorisce il dispotismo stesso; non più il rapporto
tra politico e cittadino, tra
rappresentante e rappresentato, ma appunto il rapporto
medico-paziente (che mette il
paziente nelle condizioni di non discutere).
Sullo sfondo ecco il dogmatismo
scientista, per cui “l’ha detto la scienza!” diviene
sinonimo di verità assoluta.
Ma non si tiene conto del fatto
che la scienza, in realtà, non ha mai risposte certe.
La scienza può solo studiare,
mettere a confronto, analizzare dati.
Quella di ottenere dalla scienza
risposte certe è un'illusione.
Questo dispotismo statalista,
condiviso e terapeutico rivela, paradossalmente,
tante debolezze.
Debolezza della politica, che si
è messa nelle mani della tecnoscienza riconoscendosi
incapace di affrontare i
problemi.
Debolezza dell’esecutivo che si è
fatto cogliere impreparato ed è diventato autoritario
nel tentativo di recuperare.
Debolezza dello Stato, che ha
risposto con la solita farraginosità e si è lasciato
comandare dagli organismi
sovranazionali.
Debolezza della cosiddetta
società civile, del tutto passiva.
Debolezza della Chiesa, che si è
prontamente allineata al dispotismo e alla
narrazione dominante.
In generale, debolezza antropologica
dell’uomo contemporaneo, che pretende di
essere messo al riparo da ogni
tipo di contagio ed è spinto a chiedere protezione
ignorando di avere in sé le
risposte per reagire.
Dispotismo paternalista.
Aggiungo che è un dispotismo
paternalista, perché ripete che lo fa per il nostro
bene (si pensi al provvedimento
denominato Cura Italia), ma nei fatti si
comporta in modo autoritario.
Decisivo è il ruolo dell’informazione.
Questo dispotismo, per sussistere
e affermarsi, ha bisogno del sostegno attivo dei
mass media, chiamati ad
alimentare una narrativa fondata sul terrore.
È la paura che giustifica il
ricorso al dispotismo, e la paura va nutrita, diffusa.
Il collegamento tra dispotismo
condiviso e informazione è strettissimo e necessario.
Grazie alla paura, il cittadino
(divenuto paziente) può solo lasciarsi guidare.
La nascita, in piena pandemia, di
una task force governativa contro le fake news
è significativa.
In una democrazia liberale sono i
cittadini che si fanno un’idea del problema
attraverso il libero confronto
delle fonti e delle opinioni.
In questo caso invece il governo
ha preteso di stabilire esso stesso che cosa è
verità e che cosa è menzogna, che
cosa è vera informazione e che cosa non lo è,
quali notizie e interpretazioni
sono degne di essere diffuse e quali vanno stoppate.
Biopolitica e bioinformazione
vanno a braccetto sul terreno del dispotismo paternalistico.
Aldous Huxley nel suo romanzo
distopico il mondo nuovo immaginò che il
condizionamento avvenisse di
notte, mentre i soggetti dormivano, attraverso la
somministrazione di un certo tipo
di messaggi: “Vediamo il nostro governo,
sempre riunito di
notte, quando deve decidere cosa propinarci”.
Oggi il condizionamento avviene davanti
alla tv all’ora del telegiornale.
Una narrativa adeguata può
spingere un intero popolo a suicidarsi per la paura di morire.
È ciò che stiamo vedendo.
Non conta la reale portata del
pericolo, ma la portata percepita.
Non conta ciò che è, ma ciò che
la gente pensa che sia, sulla base della narrativa
che le viene imposta.
Renaud Girard, su Le Figaro, ha
scritto: “I sociologi dovranno analizzare attentamente
il ruolo svolto dai media nel far
sorgere una psicosi mondiale di fronte a una malattia
poco letale”.
Nella speranza che saremo ancora
liberi di condurre queste analisi.
Il contagio del panico.
Un altro contagio si è sviluppato
accanto a quello del coronavirus, ed è ben più
pericoloso; il contagio del
panico.
Sotto molti aspetti è come se
avessimo vissuto una classica rivoluzione di
stampo socialista.
Abbiamo avuto l’ideale supremo
(la Salute), trasformato in un assoluto rispetto al
quale tutto è sacrificabile.
Abbiamo avuto il terrore come
arma.
Abbiamo avuto la narrativa
adeguata allo scopo.
Abbiamo i guardiani della
rivoluzione, tutti i cittadini “responsabili”, soldati pronti
anche alla delazione.
Abbiamo avuto l’attacco alla
Chiesa.
Con la novità che la Chiesa;
“scusate, gli uomini di Chiesa, che non è la stessa cosa”,
anziché opporre resistenza, si è
adeguata, dimostrandosi persino più realista del re.
Prevedibile, visto che gli uomini
di Chiesa non mettono più al centro Dio ma l’uomo,
non la salvezza dell’anima ma la
salute psicofisica.
La parola Responsabilità è
diventata la bandiera dell’esercito combattente
per la liberazione dal virus.
Chi non si adegua è
irresponsabile, è il nemico.
I drappi sui balconi ("Andrà
tutto bene") assomigliano agli slogan sui muri
Dell’Avana: "Venceremos,
Hasta la victoria siempre.
Ogni rivoluzione ha le sue parole
d’ordine.
Nel nostro caso, oltre alla
parola Responsabilità, ecco Salute, Sicurezza,
Collaborazione. [ecc, ecc].
Abbiamo vissuto nel conformismo
assoluto, che si realizza quando colui che
perde la libertà non se ne rende
nemmeno conto, perché è auto-asservito.
Così il potere non ha nemmeno più
bisogno di alzare la voce.
Quanto più totale è il suo
potere, tanto più muto è il suo comando.
Basta un cenno. Noi non pensiamo.
Noi siamo ciò che ci vien detto
di essere.
Siamo indotti ormai a ritenere
che abbiamo bisogno solo di ciò che ci viene imposto.
Il sospetto di aver perso la
libertà non ci sfiora nemmeno, perché il conformismo
non è più avvertito come tale ma
passa come grande senso di responsabilità.
Curioso; nel momento stesso in
cui la Chiesa ha disertato, ecco che ci vengono
imposti modelli di stampo
religioso.
Abbiamo una Trinità (Scienza,
Salute, Sicurezza), abbiamo il peccato (non collaborare,
non dimostrarsi responsabili),
abbiamo il castigo (essere letteralmente scomunicati,
messi fuori dalla comunità in
quanto indegni, se non si accetta la narrativa dominante),
abbiamo le sacre scritture (i
mass media allineati), abbiamo l’impellente richiesta
di convertirci (alla
tecnoscienza), abbiamo l’identificazione del credere con la salvezza,
abbiamo i nuovi bacchettoni che
giudicano tutto e tutti e mettono fuori dal consesso
civile i pochi non disposti ad
allinearsi, visti come miscredenti.
Perdere la ragione e di
conseguenza la libertà.
La nostra cultura secolarizzata,
abbandonata la ratio, è caduta nel fideismo.
Per non dire nella superstizione.
Su tutto, occorre ripeterlo,
domina la paura.
La paura che fa perdere il senno.
Che fa accettare il sacrificio
della libertà.
Che fa vivere il conformismo
assoluto come azione catartica.
Il Leviatano ci ha soggiogati
utilizzando il terrore.
Abbiamo dimenticato che l’esercizio
del potere in un sistema democratico liberale
è soggetto alla legge e che più
di una dittatura è salita al potere dopo aver ottenuto
il consenso in base a quelle che
erano state spacciate come buone intenzioni.
Il nostro sistema possiede già
gli strumenti per contemperare il rispetto della riserva
di legge con l’urgenza (il
decreto legge ne è un esempio), ma si è seguita un’altra strada.
La riserva di legge si chiama
così perché riserva alla legge primaria, escludendo fonti
di tipo secondario, la
regolazione di una determinata materia.
È una funzione di garanzia; vuole
assicurare che in materie particolarmente delicate,
come nel caso dei diritti
fondamentali del cittadino, le decisioni vengano prese
dall’organo più rappresentativo
del potere sovrano, ovvero dal Parlamento, come
previsto dall’articolo 70 della
Costituzione, secondo cui la funzione legislativa è
esercitata dalle due Camere.
Nessun provvedimento che limiti
le libertà fondamentali può essere preso saltando
le prerogative parlamentari.
Ma tutto è stato spazzato via
dalla narrativa del terrore.
Abbiamo perfino dimenticato che
lo Stato riceve il potere dal popolo, non è il popolo
che ottiene concessioni dallo
Stato.
Abbiamo dimenticato che è
consentito tutto tranne ciò è espressamente vietato,
non è vietato tutto tranne ciò
che è espressamente consentito.
Il prezzo che stiamo pagando è e
sarà salatissimo sotto tutti i punti di vista;
economico, sociale, psicologico.
Lo Stato togli la
fatica di dover pensare.
C'è il tentativo di farci vivere
non più in uno stato di diritto, ma in uno stato di
polizia, in uno stato d’eccezione
permanente.
Siamo di fronte, occorre dirlo, a
un tentativo eversivo.
Pian piano le garanzie
costituzionali saranno viste sempre di più come inutili pesi.
E che cosa potrà impedire di
approdare a adattamenti tali da snaturare completamente
il sistema democratico liberale,
magari puntando ancora sulla Salute?
Già ora vediamo che lo stato di
polizia inizia a contemplare l’ipotesi di introdursi
nelle nostre case, mentre
sollecita la delazione.
Come nei Paesi dell’Est Europa
prima della caduta del Muro.
Alexis de Tocqueville,
analizzando il potere, specialmente amministrativo, negli
Stati Uniti da lui visitati e
studiati nel primo Ottocento, lo definì utilizzando cinque
aggettivi: “È assoluto,
particolareggiato, regolare, previdente e mite” (La democrazia
in America).
Mi sembra l’immagine di ciò che
abbiamo sotto i nostri occhi.
Conseguenza di quel tipo di
potere, osserva Tocqueville, è che lo Stato cerca di
mantenere i cittadini in una
perenne condizione infantile.
Lo Stato si occupa di loro,
provvede a loro, toglie a loro “la fatica di dover pensare”.
“Piccole regole complicate,
minuziose e uniformi” non sembrano costituire un pericolo
per la democrazia liberale, ma
inesorabilmente infiacchiscono, piegano, dirigono.
Il popolo diventa massa informe;
cioè, pecore, desiderosi soltanto di lasciarsi guidare.
Questo tipo di Stato non è il
classico tiranno che fa la voce grossa e minaccia.
No, è quasi gentile.
Però (uso ancora le espressioni
di Tocqueville) “ostacola, comprime, snerva, estingue,
riducendo infine la nazione a non
essere altro che una mandria di animali timidi”
le pecore, appunto, e quindi
bisognosi di un pastore.
Il dispotismo amministrativo non
è segno di forza dello Stato, ma ammissione
della sua debolezza.
Poiché il potere centrale non è
sicuro di sé ma è debole, incerto, smarrito,
ecco che pretende di regolare
tutto.
Quando poi, come nell’attuale
caso italiano, il capo del governo è un politico che
non è stato nemmeno eletto dal
popolo, il suo intimo senso di insicurezza è ancora
più accentuato.
Di qui una maggiore carica
dispotica, tesa a legittimare un mandato che il capo
sa di non aver mai ricevuto.
Dietro le mascherine un
esercito di servi sottomessi.
Molti italiani tengono la
mascherina anche se la legge non lo impone più e non
ci sono motivi sanitari per farlo
(sono i tipici seguaci degli aspiranti tiranni,
contenti di obbedire senza
doversi prendere la responsabilità di sé).
Ecco amici le fogne in
cui ci stanno spingendo gli appartenenti del nostro governo
di incapaci e, non essendo
capaci di amministrare il paese, vogliono terrorizzarci
con la scusa del covid.