venerdì 6 novembre 2020

Non voglio negare che ci sia il Covid, ci mancherebbe, ma mi infastidisce che con la scusa del Covid, vogliano renderci schiavi di questo governo di incapaci.

 
Corona virus; stiamo perdendo la libertà. Anche di pensare.

Il potere non ha nemmeno più bisogno di alzare la voce perché la perdita della

libertà non è più avvertita come tale ma passa come grande senso di responsabilità

Un dispotismo statalista, condiviso e terapeutico.

Questo il tipo di regime nel quale ci troviamo immersi.

Perché parlo di dispotismo statalista, condiviso e terapeutico?

Con la pandemia sono state sospese le abituali procedure costituzionali e abbiamo

smesso di essere una Repubblica parlamentare.

Lo strumento dei decreti della presidenza del Consiglio ha assunto una centralità

e una preminenza assoluta.

È come se tutti (politica e cittadini) di fronte a uno stress test avessimo proclamato

che diritti costituzionali di libertà e parlamentarismo sono lussi che ci possiamo

permettere quando tutto va bene, ma non di fronte a una grave difficoltà.

Poiché accanto alla disinvoltura del governo nella sospensione dei diritti di libertà

c’è stata la naturalezza dell’opinione pubblica nell’accettare il tutto, un nemico

della libertà può averne tratto utili insegnamenti; è stato dimostrato che è molto

facile sospendere le garanzie costituzionali e imprimere al sistema una svolta

in senso autoritario.

Se la situazione di emergenza si dilatasse, sino a essere presentata e percepita

come la normalità, che cosa succederebbe?

Chi può assicurarci che in futuro un pericolo non potrebbe essere creato di proposito?

C'è il rischio che lo stato di emergenza sia istituzionalizzato?

Di certo al nostro sistema democratico liberale è stata inferta una ferita profonda,

ma pochi reagiscono.

Parlo di dispotismo perché il governo ha assunto una centralità senza precedenti.

Ma che tipo di dispotismo è?

È un dispotismo condiviso, perché opinione pubblica e mass media l’hanno

giustificato, assunto e fatto proprio.

Così in un certo senso ha ripreso vita il Leviatano di Hobbes, il colosso autoritario

che tutto controlla in cambio della sicurezza che gli individui ritengono di non

essere in grado di darsi.

È anche un dispotismo statalista perché tutto è stato demandato all’iniziativa statale;

l’iniziativa privata e dei corpi intermedi non è stata nemmeno presa in considerazione.

Lo Stato è percepito come istituzione non solo e non tanto gestionale, ma salvifica.

È poi un dispotismo terapeutico, perché la Salute è divenuta un assoluto, il politico

ha preso le sembianze del medico, il cittadino è diventato un paziente e la nazione

un ospedale.

Di qui un rapporto asimmetrico che favorisce il dispotismo stesso; non più il rapporto

tra politico e cittadino, tra rappresentante e rappresentato, ma appunto il rapporto

medico-paziente (che mette il paziente nelle condizioni di non discutere).

Sullo sfondo ecco il dogmatismo scientista, per cui “l’ha detto la scienza!” diviene

sinonimo di verità assoluta.

Ma non si tiene conto del fatto che la scienza, in realtà, non ha mai risposte certe.

La scienza può solo studiare, mettere a confronto, analizzare dati.

Quella di ottenere dalla scienza risposte certe è un'illusione.

Questo dispotismo statalista, condiviso e terapeutico rivela, paradossalmente,

tante debolezze.

Debolezza della politica, che si è messa nelle mani della tecnoscienza riconoscendosi

incapace di affrontare i problemi.

Debolezza dell’esecutivo che si è fatto cogliere impreparato ed è diventato autoritario

nel tentativo di recuperare.

Debolezza dello Stato, che ha risposto con la solita farraginosità e si è lasciato

comandare dagli organismi sovranazionali.

Debolezza della cosiddetta società civile, del tutto passiva.

Debolezza della Chiesa, che si è prontamente allineata al dispotismo e alla

narrazione dominante.

In generale, debolezza antropologica dell’uomo contemporaneo, che pretende di

essere messo al riparo da ogni tipo di contagio ed è spinto a chiedere protezione

ignorando di avere in sé le risposte per reagire.

Dispotismo paternalista.

Aggiungo che è un dispotismo paternalista, perché ripete che lo fa per il nostro

bene (si pensi al provvedimento denominato Cura Italia), ma nei fatti si

comporta in modo autoritario.

Decisivo è il ruolo dell’informazione.

Questo dispotismo, per sussistere e affermarsi, ha bisogno del sostegno attivo dei

mass media, chiamati ad alimentare una narrativa fondata sul terrore.

È la paura che giustifica il ricorso al dispotismo, e la paura va nutrita, diffusa.

Il collegamento tra dispotismo condiviso e informazione è strettissimo e necessario.

Grazie alla paura, il cittadino (divenuto paziente) può solo lasciarsi guidare.

La nascita, in piena pandemia, di una task force governativa contro le fake news

è significativa.

In una democrazia liberale sono i cittadini che si fanno un’idea del problema

attraverso il libero confronto delle fonti e delle opinioni.

In questo caso invece il governo ha preteso di stabilire esso stesso che cosa è

verità e che cosa è menzogna, che cosa è vera informazione e che cosa non lo è,

quali notizie e interpretazioni sono degne di essere diffuse e quali vanno stoppate.

Biopolitica e bioinformazione vanno a braccetto sul terreno del dispotismo paternalistico.

Aldous Huxley nel suo romanzo distopico il mondo nuovo immaginò che il

condizionamento avvenisse di notte, mentre i soggetti dormivano, attraverso la

somministrazione di un certo tipo di messaggi: “Vediamo il nostro governo,

sempre riunito di notte, quando deve decidere cosa propinarci”.

Oggi il condizionamento avviene davanti alla tv all’ora del telegiornale.

Una narrativa adeguata può spingere un intero popolo a suicidarsi per la paura di morire.

È ciò che stiamo vedendo.

Non conta la reale portata del pericolo, ma la portata percepita.

Non conta ciò che è, ma ciò che la gente pensa che sia, sulla base della narrativa

che le viene imposta.

Renaud Girard, su Le Figaro, ha scritto: “I sociologi dovranno analizzare attentamente

il ruolo svolto dai media nel far sorgere una psicosi mondiale di fronte a una malattia

poco letale”.

Nella speranza che saremo ancora liberi di condurre queste analisi.

Il contagio del panico.

Un altro contagio si è sviluppato accanto a quello del coronavirus, ed è ben più

pericoloso; il contagio del panico.

Sotto molti aspetti è come se avessimo vissuto una classica rivoluzione di

stampo socialista.

Abbiamo avuto l’ideale supremo (la Salute), trasformato in un assoluto rispetto al

quale tutto è sacrificabile.

Abbiamo avuto il terrore come arma.

Abbiamo avuto la narrativa adeguata allo scopo.

Abbiamo i guardiani della rivoluzione, tutti i cittadini “responsabili”, soldati pronti

anche alla delazione.

Abbiamo avuto l’attacco alla Chiesa.

Con la novità che la Chiesa; “scusate, gli uomini di Chiesa, che non è la stessa cosa”,

anziché opporre resistenza, si è adeguata, dimostrandosi persino più realista del re.

Prevedibile, visto che gli uomini di Chiesa non mettono più al centro Dio ma l’uomo,

non la salvezza dell’anima ma la salute psicofisica.

La parola Responsabilità è diventata la bandiera dell’esercito combattente

per la liberazione dal virus.

Chi non si adegua è irresponsabile, è il nemico.

I drappi sui balconi ("Andrà tutto bene") assomigliano agli slogan sui muri

Dell’Avana: "Venceremos, Hasta la victoria siempre.

Ogni rivoluzione ha le sue parole d’ordine.

Nel nostro caso, oltre alla parola Responsabilità, ecco Salute, Sicurezza,

Collaborazione. [ecc, ecc].

Abbiamo vissuto nel conformismo assoluto, che si realizza quando colui che

perde la libertà non se ne rende nemmeno conto, perché è auto-asservito.

Così il potere non ha nemmeno più bisogno di alzare la voce.

Quanto più totale è il suo potere, tanto più muto è il suo comando.

Basta un cenno. Noi non pensiamo.

Noi siamo ciò che ci vien detto di essere.

Siamo indotti ormai a ritenere che abbiamo bisogno solo di ciò che ci viene imposto.

Il sospetto di aver perso la libertà non ci sfiora nemmeno, perché il conformismo

non è più avvertito come tale ma passa come grande senso di responsabilità.

Curioso; nel momento stesso in cui la Chiesa ha disertato, ecco che ci vengono

imposti modelli di stampo religioso.

Abbiamo una Trinità (Scienza, Salute, Sicurezza), abbiamo il peccato (non collaborare,

non dimostrarsi responsabili), abbiamo il castigo (essere letteralmente scomunicati,

messi fuori dalla comunità in quanto indegni, se non si accetta la narrativa dominante),

abbiamo le sacre scritture (i mass media allineati), abbiamo l’impellente richiesta

di convertirci (alla tecnoscienza), abbiamo l’identificazione del credere con la salvezza,

abbiamo i nuovi bacchettoni che giudicano tutto e tutti e mettono fuori dal consesso

civile i pochi non disposti ad allinearsi, visti come miscredenti.

Perdere la ragione e di conseguenza la libertà.

La nostra cultura secolarizzata, abbandonata la ratio, è caduta nel fideismo.

Per non dire nella superstizione.

Su tutto, occorre ripeterlo, domina la paura.

La paura che fa perdere il senno.

Che fa accettare il sacrificio della libertà.

Che fa vivere il conformismo assoluto come azione catartica.

Il Leviatano ci ha soggiogati utilizzando il terrore.

Abbiamo dimenticato che l’esercizio del potere in un sistema democratico liberale

è soggetto alla legge e che più di una dittatura è salita al potere dopo aver ottenuto

il consenso in base a quelle che erano state spacciate come buone intenzioni.

Il nostro sistema possiede già gli strumenti per contemperare il rispetto della riserva

di legge con l’urgenza (il decreto legge ne è un esempio), ma si è seguita un’altra strada.

La riserva di legge si chiama così perché riserva alla legge primaria, escludendo fonti

di tipo secondario, la regolazione di una determinata materia.

È una funzione di garanzia; vuole assicurare che in materie particolarmente delicate,

come nel caso dei diritti fondamentali del cittadino, le decisioni vengano prese

dall’organo più rappresentativo del potere sovrano, ovvero dal Parlamento, come

previsto dall’articolo 70 della Costituzione, secondo cui la funzione legislativa è

esercitata dalle due Camere.

Nessun provvedimento che limiti le libertà fondamentali può essere preso saltando

le prerogative parlamentari.

Ma tutto è stato spazzato via dalla narrativa del terrore.

Abbiamo perfino dimenticato che lo Stato riceve il potere dal popolo, non è il popolo

che ottiene concessioni dallo Stato.

Abbiamo dimenticato che è consentito tutto tranne ciò è espressamente vietato,

non è vietato tutto tranne ciò che è espressamente consentito.

Il prezzo che stiamo pagando è e sarà salatissimo sotto tutti i punti di vista;

economico, sociale, psicologico.

Lo Stato togli la fatica di dover pensare.

C'è il tentativo di farci vivere non più in uno stato di diritto, ma in uno stato di

polizia, in uno stato d’eccezione permanente.

Siamo di fronte, occorre dirlo, a un tentativo eversivo.

Pian piano le garanzie costituzionali saranno viste sempre di più come inutili pesi.

E che cosa potrà impedire di approdare a adattamenti tali da snaturare completamente

il sistema democratico liberale, magari puntando ancora sulla Salute?

Già ora vediamo che lo stato di polizia inizia a contemplare l’ipotesi di introdursi

nelle nostre case, mentre sollecita la delazione.

Come nei Paesi dell’Est Europa prima della caduta del Muro.

Alexis de Tocqueville, analizzando il potere, specialmente amministrativo, negli

Stati Uniti da lui visitati e studiati nel primo Ottocento, lo definì utilizzando cinque

aggettivi: “È assoluto, particolareggiato, regolare, previdente e mite” (La democrazia

in America).

Mi sembra l’immagine di ciò che abbiamo sotto i nostri occhi.

Conseguenza di quel tipo di potere, osserva Tocqueville, è che lo Stato cerca di

mantenere i cittadini in una perenne condizione infantile.

Lo Stato si occupa di loro, provvede a loro, toglie a loro “la fatica di dover pensare”.

“Piccole regole complicate, minuziose e uniformi” non sembrano costituire un pericolo

per la democrazia liberale, ma inesorabilmente infiacchiscono, piegano, dirigono.

Il popolo diventa massa informe; cioè, pecore, desiderosi soltanto di lasciarsi guidare.

Questo tipo di Stato non è il classico tiranno che fa la voce grossa e minaccia.

No, è quasi gentile.

Però (uso ancora le espressioni di Tocqueville) “ostacola, comprime, snerva, estingue,

riducendo infine la nazione a non essere altro che una mandria di animali timidi”

le pecore, appunto, e quindi bisognosi di un pastore.

Il dispotismo amministrativo non è segno di forza dello Stato, ma ammissione

della sua debolezza.

Poiché il potere centrale non è sicuro di sé ma è debole, incerto, smarrito,

ecco che pretende di regolare tutto.

Quando poi, come nell’attuale caso italiano, il capo del governo è un politico che

non è stato nemmeno eletto dal popolo, il suo intimo senso di insicurezza è ancora

più accentuato.

Di qui una maggiore carica dispotica, tesa a legittimare un mandato che il capo

sa di non aver mai ricevuto.

Dietro le mascherine un esercito di servi sottomessi.

Molti italiani tengono la mascherina anche se la legge non lo impone più e non

ci sono motivi sanitari per farlo (sono i tipici seguaci degli aspiranti tiranni,

contenti di obbedire senza doversi prendere la responsabilità di sé).

Ecco amici le fogne in cui ci stanno spingendo gli appartenenti del nostro governo

di incapaci e, non essendo capaci di amministrare il paese, vogliono terrorizzarci

con la scusa del covid.