sabato 5 marzo 2016

Amore e Misericordia del Padre

Il Padre innamorato dei suoi figli.
Nel deserto della Quaresima diventiamo capaci di accogliere
la novità assoluta del vangelo, del volto di Dio che emerge
dalla rivelazione di Gesù.
Un Dio bellissimo ci attende sul Tabor, quando riusciamo
a lasciare la pianura della quotidianità e della mediocrità.
Un Dio che non manda le disgrazie e che non teniamo
buono sennò chissà che iettura ci colpisce.
Un Dio che è un padre affettuoso che ci ama e ci rispetta.
Luca costruisce il suo vangelo intorno a tre parabole.
Concentra in questi tre capolavori la sintesi del suo annuncio,
la logica stringente della sua vita.
Una di queste parabole, forse la più conosciuta del vangelo,
è quella erroneamente chiamata del “figliol prodigo”.
I due figli protagonisti della parabola hanno una pessima
idea di Dio. Entrambi.
Il primo figlio, scapestrato, pensa che Dio sia un concorrente,
un avversario: se c’è io non posso realizzarmi.
Dio è un censore, un preside severo, uno che non mi aiuta.
Gli chiedo il mio, quello che mi deve (e da quando un
padre “deve” l’eredità?), quello che mi spetta.
Chiedere l’eredità significa augurare la morte.
E il figlio va e conosce la vita.
Ha molti amici, sperpera tutto il patrimonio.
Quando finiscono i soldi gli amici se ne vanno, ovvio.
È tutta qui la vita?
In pochi mesi ha già conosciuto tutto, bruciato tutto?
Si ritrova a pascolare i porci.
I porci: l’animale impuro per eccellenza.
E patisce la fame.
Rientra in sé stesso e ragiona: “Sono un idiota.
In casa di mio padre anche il più umile dei servi ha pane
in abbondanza!
Ora torno e mi trovo una scusa”.
Sì, avete letto bene: contesto radicalmente l’interpretazione
buonista del brano.
Il figlio non è affatto pentito: è affamato e ancora pensa
che il padre sia un tontolone da manipolare.
L’altro figlio torna dal lavoro stanco e si offende della festa
che il padre ha fatto in onore del figlio minore.
Come dargli torto?
Il suo cuore è piccolo ma la sua giustizia grande: sì, è vero,
il Padre si comporta ingiustamente nei suoi confronti.
Giusto: lui lavora da anni e non ha mai osato chiedere nulla.
Il figlio maggiore pensa che Dio sia uno da tenere buono,
che ora fatichiamo ed obbediamo ma che, alla fine, avremo
il premio, ci verrà riconosciuta la fatica che abbiamo vissuto
e tutte le messe che ci siamo sciroppate.
Lui è uno mortificato, senza grilli per la testa, lui è il bravo figlio
che tutti vorrebbero: perché il padre si comporta in quel modo?
Bene, fermatevi qui, ora.
Niente bei finali, Luca si stoppa.
Non dice se il primo figlio apprezzò il gesto del Padre e,
finalmente, cambiò idea.
Né dice se il fratello, inteneritosi, entrò a far festa.
No: la parabola finisce aperta, senza scontate soluzioni,
senza facili moralismi e finali da Principe Azzurro.
Puoi stare col Padre senza vederlo, puoi lavorare con lui
senza gioirne, puoi lasciare che la tua fede diventi ossequio
rispettoso senza che ti faccia esplodere il cuore di gioia.
Il vangelo ci dice ancora una volta che Dio ci considera
adulti, che affida alle nostre mani le decisioni, che non
si sostituisce alle nostre scelte.
E ora, per favore, smettetela di guardare questi due idioti,
così simili a noi.
Piccoli e meschini, come noi.
E guardate al Padre, per favore.
Io vedo un Padre che lascia andare il figlio anche se sa che
si farà del male (l’avreste lasciato andare?).
Vedo un Padre che scruta l’orizzonte ogni giorno.
Vedo un Padre che non rinfaccia né chiede ragione dei
soldi spesi (“te l’avevo detto io!”), che non accusa, che
abbraccia, che smorza le scuse (e non le vuole), che
restituisce dignità, che fa festa.
Vedo un Padre ingiusto, esagerato, che ama un figlio che
gli augurava la morte (“dammi l’eredità!”) che vaneggiava
nel delirio (“mi spetta!”), un Padre che sa che questo figlio
ancora non è guarito dentro ma pazienta e fa già festa.
Vedo un Padre che esce a pregare lo stizzito fratello maggiore,
che tenta di giustificarsi, di spiegare le sue buone ragioni.
Ecco: vedo questo Padre che accetta la libertà dei figli,
che pazienta, che indica, che stimola.
Lo vedo e impallidisco.
Dunque: Dio è così? Fino a qui? Così tanto?
Sì, amici. Dio è questo e non altro.
Dio è così e non diversamente.
E il Dio in cui credo è finalmente questo?
Gesù sta per morire per affermare questa verità, è disposto
a farsi scannare pur di non rinnegare questa inattesa rivelazione.
Dio è prodigo, anche a costo di gettare al vento le sue
fortune, non il figlio.
Perché di esagerato, di eccessivo, in questa storia,
c’è solo l’amore e la Misericordia di Dio.