La concretezza dell’Amore.
(Matteo 25,31-46).
Sono ritornato dal Santuario dell’Amore
Misericordoso
e mi sono portato nel cuore una cosa
grandiosa;
l’Amore che il Signore ha per ciascuno di
noi, tutto
questo lo capiamo nel Vangelo di questa
domenica
di fine anno liturgico.
Fine. Anzi, no, inizio.
Oggi termina l’anno liturgico, anno
passato con Matteo
manager riuscito e temuto, che ha gettato
alle ortiche le
sue presunte conquiste per essere
conquistato dal Rabbì,
Gesù di Nazareth, che ci ha insegnato a
essere discepoli.
E, al solito, l’anno termina con la festa
di Cristo Re dell’Universo.
Un ultimo invito a riflettere su chi è Dio
e su chi è il discepolo
di questo Dio.
Tenetevi ai braccioli della poltrona, perché
ciò che oggi
leggiamo è il non senso di Dio, la negazione
dei
nostri (falsi) sogni.
Non siamo più o meno tutti convinti che Dio
sia Eterno,
Onnipotente, onnipresente, Assoluto,
eccetera?
Non ce lo immaginiamo come un vecchio con
la barba,
seduto su un alto trono dorato, che
sovrasta l’Universo
e la Storia, girando inpercettibilmente e
stancamente,
lo sguardo sulle sue creature?
Non ci sgoliamo nelle preghiere,
scocciati e affranti,
quando non veniamo esauditi?
Tutto vero. Abbastanza.
Perché, in realtà, il Dio di Gesù è più
sconfitto
di tutti gli sconfitti, fragile più di
ogni fragilità.
Un re senza trono e senza scettro, appeso
nudo a una croce,
un re che necessita di un cartello per
essere identificato,
un re senza potere se non quello
(devastante) dell’amore.
Ecco; questo è il nostro Dio, un Dio
sconfitto.
Ma un Dio sconfitto per amore, un Dio
che, inaspettato,
manifesta la sua grandezza nell’amore e
nel perdono.
Dio, Lui si, si mette in gioco, si
scopre,
si svela, si consegna, si ostende.
Dio non è nascosto, misterioso; è
evidente, provocatoriamente
evidente; appeso a una croce,
apparentemente sconfitto,
gioca il tutto per tutto per piegare la
durezza dell’uomo.
Gesù è venuto a dire di Dio, a
raccontarlo.
Lui, Figlio del Padre, ci dona e ci dice
veramente chi è Dio.
E l’uomo replica; “no grazie”.
Forse preferiamo un Dio un po’ severo e
scostante,
sommo egoista, bastante a se stesso,
potente,
da convincere e tenere buono.
Forse l’idea pagana di Dio che ci
facciamo ci soddisfa
maggiormente perché ci assomiglia di più,
non ci
costringe a conversione, ci chiede
superstizione;
non piega i nostri affetti, solo li
solletica.
La festa di Cristo Re ci rivela il
destino
finale della nostra storia.
È una pagina da imparare bene, visto che
svela il trucco
della salvezza, visto che i termini del
contratto sono espliciti.
Alla fine dei tempi, davanti al Cristo
in maestà che succederà?
Lo troviamo scritto, leggiamo bene, e
mettiamo da
parte il taccuino in cui abbiamo segnato le
nostre ore
di preghiera, le noiose messe e
confessioni che abbiamo
subìto, e le eventuali giustificazioni da
tirare fuori.
Il Signore ci chiederà se lo avremo
riconosciuto
nel povero, nel debole, nell’affamato,
nel solo,
nell’anziano abbandonato, nel parente
scomodo.
Sì; avete capito bene.
Il giudizio sarà tutto su ciò che avremo
fatto.
E sul cuore con cui lo avremo fatto.
La fede è concretezza, non parole, la
preghiera
contagia la vita, la cambia, non la
anestetizza, la
celebrazione continua nella città, non
finisce nel tempio.
Allora, certo, la preghiera,
l’Eucaristia, la confessione
sono strumenti di comunione col Cristo e
tra noi per fare
della nostra vita il luogo della fede.
Nel mio ufficio, sul mio luogo di lavoro,
nella mia
scuola, in casa a spadellare, mi salverò.
Se saprò portare la fede da dentro a
fuori, da lontano
a vicino, e riconoscere il volto del
Cristo adorato nel
volto del fratello che incontro ogni
giorno.
La regalità di Cristo, oggi, si manifesta
nei nostri gesti.
Cristo è Signore se sapremo sempre di più
amando i fratelli, renderli partecipi
della nostra fede.
La fine di quest’anno ci richiama ancora,
allora,
alla concretezza, ci fa cambiare la vita.
Un saluto ed una preghiera a tutti voi
amici,
con la consapevolezza di essere amati di
un
amore folle da parte del nostro Signore
Gesù.
Santa Domenica di Cristo Re da Fausto.