Mps, i grandi
debitori: spuntano altri nomi.
Logicamente tutti
ladri e delinquenti.
Per ora chi dovrebbe
fare luce sui crediti facili concessi da Mps non
ha alcuna intenzione
di svelare chi non ha restituito il dovuto
all’istituto senese, e
continua a difendere la privacy dei bidonisti,
come ha fatto anche il
nuovo amministratore delegato della banca,
Marco Morelli: «Non
possiamo fare quei nomi, altrimenti rovineremmo
la loro reputazione».
Certo, i ladri ed i
delinquenti vanno sempre difesi, ci mancherebbe.
Di più: i vertici
della banca hanno avvertito con una mail-circolare
anche i propri
dirigenti e dipendenti: se uscirà qualcuno di quei nomi,
scatteranno inchieste
interne e provvedimenti disciplinari.
Avete capito; chi
parla e dice la verità, corre il rischio di essere denunciato.
Ma il pressing mediatico
e politico-istituzionale per fare pubblicare
la lista di chi ha
preso i soldi e non li ha restituiti è così alto e continuo
che difficilmente lo
scudo di Morelli potrà resistere a lungo.
Anche perché se Mps si
trova in queste condizioni e ancora una
volta bussa alla porta
dello Stato chiedendo un salvataggio pagato
dai contribuenti, non
poco è dovuto a quei 47 miliardi di sofferenze
lorde che si sono
accumulate in modo esponenziale negli ultimi anni
proprio per il credito
facile concesso a medie e piccole aziende.
Mentre il Monte si
blinda, però qualche nome di quell’elenco Libero
è in grado di farlo,
grazie alla consultazione dei bilanci di alcuni
clienti della banca
senese e alle doverose comunicazioni alle autorità
di vigilanza fatte in
questi anni quando si è trattato di ristrutturare la
posizione debitoria di
alcuni di loro.
Si tratta sempre di
imprese che non hanno restituito quello che avevano
ricevuto dalla banca,
che in molti casi ha dovuto condonare parte del
debito e concedere
nuove linee di credito nella speranza di non perdere
proprio tutto.
In altri casi ha
escusso i pegni che aveva, non rientrando quasi mai
però dell’esposizione.
In altri ancora Mps è
stata costretta a trasformare il credito vantato
in capitale azionario,
concedendo poi nuova finanza a quella che era
divenuta una parte
correlata e partecipando alla copertura annuale
delle perdite quando
la situazione non si raddrizzava.
Casi simili, dunque, a
due di quelli già emersi in questi giorni:
quello di Sorgenia, in
cui Mps fu costretto ad entrare dopo avere dato
senza possibilità di
riaverli indietro 650 milioni di euro al gruppo che
all’epoca era di Carlo
De Benedetti, e quello del gruppo Marcegaglia
esposto per decine di
milioni di euro con la Banca agricola mantovana,
controllata da Mps.
Nelle stesse
condizioni si trovano altri rilevanti gruppi pubblici e privati.
Così in quell’elenco
dei cattivi pagatori sono entrati una dopo l’altra
negli anni le più
importanti cooperative rosse del mondo delle costruzioni,
(avete capito;
cooperative rosse, cioè della sinistra che ci governa, ecco
perché hanno fatto
presto ad emettere i salvabanche) e in qualche caso
anche nel settore del
consumo.
Siccome non riuscivano
a restituire più i soldi ricevuti essendo andato
in crisi (falsa) il
loro mercato di riferimento, sia Mps che la omonima
Fondazione sono
entrate nel capitale di società di quei gruppi, iniziando
una disavventura che
di anno in anno è diventata più drammatica.
Uno dei casi più
significativi è stato quello del gruppo Sansedoni Siena spa,
nato all’interno di
Unieco e oggi proprio per i soldi non restituiti divenuto
parte correlata della
banca senese.
Mps ha trasformato il
credito vantato (25,9 milioni) nei confronti della
capogruppo nel 21,75%
del capitale, e poi ha concesso altri prestiti.
Anche perché la stessa
cosa è accaduta con società controllate a valle:
Marinella spa, che non
era in grado di restituire 26,9 milioni.
Stessa situazione nei
confronti di altre due controllate dirette o indirette
dalla Sansedoni Siena:
la Sviluppo ed Interventi immobiliari spa e
la Beatrice srl in
liquidazione, per cui è stato congelato un debito
di 48,4 milioni di
euro.
L’esposizione
complessiva del gruppo Sansedoni Siena nei confronti
di Mps ammontava a
giugno 2016 a 104,7 milioni di euro.
Per restare ai
difficili rapporti finanziari con il cliente Unieco, un altro
debito di 20 milioni è
in ristrutturazione fra Mps e la società di
Reggio Emilia Le
Robinie spa, che all’80% è controllata dalla coop
di costruzioni e dove
il restante 20% è diventato di proprietà di Mps
proprio per la
trasformazione dei crediti in azioni.
Altri 20 milioni di
euro sono finiti nel calderone delle sofferenze
non più recuperabili e
riguardavano una società senese, la New Colle Srl,
che è stata dichiarata
fallita un anno fa dopo anni di tentativi di
ristrutturazione da
parte del gruppo Mps, che avevano anche portato
a un ingresso nel
capitale di Mps Capital services spa.
Cifre inferiori, pari
a 11,3 milioni di euro riguardano invece il gruppo
Fenice della famiglia
Fusi (quella della Baldini Tognozzi Pontello- Btp)
e soprattutto le
relative controllate immobiliari Una spa (hotel),
Euro srl, Il Forte
spa.
Anche in questo caso
prima di cercare di ristrutturare il debito Mps ha
convertito parte dei
prestiti non restituiti in quote di capitale, arrivando
al 20,54% della Fenice
holding spa sia attraverso la banca capogruppo
(4,16%) che attraverso
Mps Capital services (16,38%).
Altri problemi con i
privati sono arrivati dall’antico rapporto con il
gruppo farmaceutico
Menarini, ma in questo caso si è messa di mezzo
anche una indagine
della magistratura con il sequestro di beni
e liquidità
dell’azienda.
C'è poi il settore
pubblico, che è una vera idrovora per Mps.
Le società regionali o
le municipalizzate toscane si sono rivelate un
pozzo senza fondo,
continuando a pompare risorse dalla banca, poi costretta
ad entrare nel loro
capitale quando i soldi non venivano restituiti.
Così è accaduto con
Fidi Toscana spa (27,46% del capitale in mano
a Mps), per cui ancora il 31 agosto scorso è
stato garantito un ulteriore
affidamento di 98
milioni di euro.
C’è una esposizione di
poco inferiore ai 10 milioni di euro, già più volte
ristrutturata e
allungata con la concessione di nuova finanza, con
le Terme di
Chianciano, e analoghi problemi ci sono stati con l’Interporto
Toscano A. Vespucci
spa, dove è stato convertito in azioni un credito
vantato e non pagato
di 4,8 milioni di euro.
Per restare al settore
pubblico una delle maggiori spine di Mps viene
dalla capitale: le
municipalizzate del comune di Roma oggi guidato
da Virginia Raggi (che
c’entra niente però con quei debiti).
Ci sono state
rimodulazioni del debito con Acea e Metro C, ma i veri
problemi vengono
dall’Atac, la società di trasporto locale della capitale.
Mps aveva partecipato
con altre 3 banche a un finanziamento in pool
nel 2013 per più di
200 milioni di euro, che è poi è stato rischedulato
a 163 milioni di euro
nell’autunno scorso, davanti alla evidente
impossibilità di Atac
di ripagare il dovuto.
Il rischio per la
banca senese in questo caso è intorno ai 30 milioni di euro.
Ma i casi qui citati
sono solo una piccola punta di quell’iceberg che
sta per venire fuori.
Ma noi intanto
dobbiamo tirare la cinghia, mentre i nostri politici
di sinistra si
riempiono le tasche, e purtroppo ci sono ancora
persone che li votano,
è strano il mondo.