L'ITALIA NON E' PIU'
ITALIANA
Il nuovo libro di Mario Giordano
spiega come i nuovi predoni stanno
rubando il nostro Paese. di Mario
Giordano
L'Italia è stata venduta. Pezzo a
pezzo.
E, se non cambierà qualcosa in
fretta, se non metteremo un freno,
tra poco il nostro amato Paese
non ci sarà più.
Non a caso, mentre stavo
scrivendo questo libro, nel pieno del dibattito
sulla manovra economica (un classico
d'autunno, come le castagne e il
beaujolais) è spuntata fuori la
ricetta per l'Italia della Bundesbank, la banca
centrale tedesca: «Voi doffere
fare subito nuova tassa, voi doffere fare
patrimoniale del 20 per cento su
tutti ffostri risparmi».
Bella idea, no?
Se venisse mai applicata, la
nostra economia crollerebbe e l'opera di
spoliazione sarebbe
definitivamente conclusa.
Si porterebbero via tutto ciò che
resta.
È quello che vorrebbero a Parigi
e Berlino.
Altro che Unione europea. (...)
BYE BYE ITALIAN LIFE
Una volta, se trovavi una cimice
nel piatto, denunciavi il ristorante.
Adesso, invece, il ristorante
vince un premio.
Una menzione d'onore.
Una citazione da Guida Michelin.
Perché la cimice nel piatto è
alla moda. Chic. Trendy.
E pure ecologicamente corretta.
Rassegnatevi: dal 1° gennaio
2018, in materia di cibo, abbiamo compiuto
un altro fondamentale passo in
avanti.
Infatti, grazie a una direttiva
Ue (e te pareva) si possono portare sulla tavola
degli italiani gli insetti.
Basta con spaghetti e pizza,
addio carbonara e quattro stagioni.
Arrivano locuste al vapore,
grilli al curry, tarantole fritte, zuppa di zanzare,
cavallette al cioccolato, vermi
giganti, camole, millepiedi e naturalmente un
po' di cimici in salsa di soia.
E avanti, tutti a ingurgitare
certa roba che, a vederla, si direbbe destinata
a uscire dal corpo.
Mica a entrarci. Ma che ci volete
fare?
Questo è l'ultimo passo del
famolo strano, anzi famolo straniero, a tavola.
C'è chi scommette che tra qualche
decennio sarà normale abboffarsi di
locuste e vermicelli, come lo è
già per molte culture asiatiche.
Dicono che diventerà il cibo del
futuro, e che questo sarebbe un bene per tutti.
Storcete il naso?
Probabilmente lo avreste fatto
anche quarant'anni fa, quando aprivano i primi
sushi giapponesi o i primi
ristoranti cinesi con annesso involtino primavera.
Adesso, invece, la cucina etnica
dilaga: nel 2018, secondo una ricerca
Nielsen Trade, 14 milioni di
italiani hanno tradito le tagliatelle di nonna Pina
per un piatto esotico.
Sono il doppio rispetto a cinque
anni fa. Il doppio.
Quasi un italiano su due (il 42
per cento, per l'esattezza) quando esce alla sera,
sempre secondo la ricerca
Nielsen, sceglie un ristorante non italiano.
Più di uno su due (il 52 per
cento) lo consuma abitualmente fra le mura domestiche.
Proprio così: stiamo dimenticando
come si cucinano i tajarin, però non
perdiamo l'occasione per
rimpinzarci di nachos e tacos.
Come stupirsi se, tra un po', ci
aggiungeremo il contorno di zanzare fritte? (...)
ITALIA SAUDITA
Avete presente il Bosco Verticale
di Milano, progettato dall'architetto Stefano Boeri,
quello che ha vinto premi su
premi come miglior grattacielo del mondo?
È di proprietà del Qatar.
E la Torre Solaria, che sta lì
accanto, con i suoi 143 metri di altezza, il palazzo
residenziale più alto d'Italia?
Pure quella è del Qatar.
E gli altri 23 edifici di Porta
Nuova, il cuore della nuova Milano, una delle zone
più chic e moderne della
metropoli? Tutti del Qatar.
E il Westin Excelsior di via
Veneto a Roma, l'hotel simbolo della Dolce Vita,
quello amato dai Kennedy e dai
principi di Monaco, da Paul Newman ed
Elizabeth Taylor, da Frank
Sinatra e Liza Minnelli? È del Qatar.
E il Palazzo della Gherardesca di
Firenze, capolavoro dell'architettura
rinascimentale toscana? È del
Qatar.
E lo storico Grand Hotel
Baglioni, sempre a Firenze? È del Qatar.
E Palazzo Gritti, meraviglia del
Trecento affacciata sul Canal Grande,
che oggi ospita uno dei più
rinomati hotel di Venezia?
Rassegnatevi: pure quello non è
più nostro. È del Qatar.
Siamo partiti dalla Sardegna, ma
la Sardegna, purtroppo, non è l'eccezione.
È solo la parte più visibile
dell'Italia venduta agli emiri di Doha.
I soldi qatarini, infatti, si
stanno comprando l'intera Penisola.
Pezzo a pezzo.
Le bellezze di ieri e quelle di
oggi.
Le compagnie aeree. Le banche. Le
aziende.
Tutto sta finendo nelle mani di
questo Paese, che è grande all'incirca come la
Basilicata, ma ha tanto gas
naturale e tanto denaro da sommergere l'intero pianeta.
Per ricchezza pro capite è il
primo al mondo.
Ha a disposizione fondi
praticamente illimitati.
E un amore particolare per il
Vecchio Stivale dove negli ultimi anni ha fatto
uno shopping furioso, buttandosi
su ogni pezzo in vendita come le massaie si
buttano sulla verdura quando c'è
il tre per due al Carrefour.
Ci manca solo che compri
direttamente Palazzo Chigi, Montecitorio e il Quirinale
(tanto vengono via per poco) e
poi potremmo finalmente cambiare la Costituzione:
l'Italia è una Repubblica (non
più) democratica fondata sul Qatar. (...)
SIAMO NEL PALLONE
Il 23 aprile 2016 è una data
fondamentale per il calcio italiano.
Si è giocata Inter-Udinese.
No, non state a sforzarvi con la
memoria: non è stata una partita epica, non sono
stati assegnati trofei
importanti, nessun campione ha rivelato il suo talento.
È stata una normalissima partita,
finita 3 a 1 per i nerazzurri.
Niente di che.
Epperò è stata la prima partita
della storia del nostro (nostro: si fa per dire)
campionato di Serie A in cui sono
scesi in campo, fin dall'inizio, 22 calciatori
tutti stranieri.
Tutti, proprio tutti.
C'erano uno sloveno, un
giapponese, sei brasiliani, due colombiani, un croato,
tre francesi, un argentino, un
montenegrino, un greco, un franco-maliano,
uno svizzero, un ghanese, un
serbo e un portoghese. Nemmeno un italiano.
Nemmeno per sbaglio.
Ma se gli italiani non giocano
nei loro club, come possono poi giocare in Nazionale?,
si sono chiesti molti.
Sarà un caso, ma meno di un anno
e mezzo dopo quel match, l'Italia ha subito la
clamorosa onta dell'eliminazione
dai Mondiali.
Sconfitta dalla Svezia. A casa
dalla Russia.
Pensiamo gente, pensiamo.
Però, non pensiamoci troppo, perché,
magari ci troveremo a dover traslocare
in Africa, si fa per dire.