Caro Tommaso, fa strano scriverti una lettera, ma ho deciso,
dopo tanti anni, di schierarmi formalmente e solennemente
dalla tua parte.
Mi spiego meglio: ogni anno, dopo l'ebbrezza della festa di
Pasqua, puntualmente ti ritroviamo col Vangelo che ti riguarda;
il motivo è semplice, san Giovanni ci dice che il fatto,
o meglio, il fattaccio, è accaduto otto giorni dopo l'apparizione
di Gesù a porte chiuse nel Cenacolo alla sera di Pasqua.
Ora; sono stufo di vederti descritto come un incredulo, su di te
abbiamo addirittura composto un proverbio "Tommaso che
non ci crede se non ci mette il naso" e zac, sei arrivato fino.
a noi con la falsa nomea di incredulo.
Ed in questo, ti somiglio parecchio.
E' il nostro consueto modo di leggere il Vangelo, col cervello
in stand-by, ascoltando come se fosse una pia ed edificante
favoletta, senza la voglia di approfondire ciò che dovrebbe
nutrire la nostra vita e la nostra fede.
Eppure, Tommaso, leggendo bene il racconto di Giovanni,
Eppure, Tommaso, leggendo bene il racconto di Giovanni,
si capisce subito che tu al Rabbì ci avevi creduto, fin troppo.
Dalle tue parole durissime, ferite, si intuisce dell'amarezza
che ti aveva sconvolto il cuore all'indomani della croce!
Incredulo? Andiamo!
Piuttosto credulone, con l'entusiasmo che ti contraddistingueva
tra i dodici.
Sai, Tommaso, mi sono riconosciuto molte volte in te, ti ho
visto nel volto di molti fratelli scoraggiati e delusi dopo aver
dato l'anima ad un sogno, ad un progetto.
Più voli in alto e più-cadendo-ti fai del male.
La croce, per te inattesa, aveva inchiodato il tuo Maestro e la
tua vita, messo fine al tuo sogno realizzato.
E ti vedo-sbalordito, attonito-che ascolti i tuoi compagni.
Le tue ferite sanguinano copiosamente e questi-gioiosi-ti
raccontano di averlo visto vivo, risorto.
Giovanni, che c'era, ha scritto solo la prima parte di ciò che
hai detto; la frase durissima del "non crederò" e-per pudore,
Giovanni è cortese e delicato-non ha riportato le tue altre frasi,
dette con la voce rotta dalla rabbia e dalla voglia di piangere.
Io me le sono immaginate: "Tu Pietro? E tu Andrea?… e tu
Giacomo?
Voi mi dite che lui è vivo?
Siamo scappati tutti, come conigli… come faccio a credervi?".
Tommaso: hai ragione.
Incontro spesse volte cristiani come te, feriti dalla pessima
testimonianza di noi discepoli, scandalizzati dal baratro che
mettiamo tra la nostra fede e la nostra vita, increduli al Vangelo
a causa della nostra piccolezza.
Ma-e questo è stupefacente-Giovanni ci dice che otto giorni
dopo tu eri ancora con loro.
Cavolo, Tommi!
Non li hai mollati come alle volte vedo fare, non ti sei sentito
superiore, migliore o a parte.
Hai voluto condividere la tua amarezza con loro.
E finalmente è accaduto: apposta per te è venuto il Maestro;
vedi come ti ama?
Le sue piaghe, il suo costato ostesi, aperti, mostrati, e quella
frase bellissima (non un rimpovero ma un gesto d'amore):
"Tommaso so che hai sofferto tanto.
Guarda: anch'io ho sofferto tanto…", ti hanno fatto arrendere,
hai lasciato la diga del pianto rompere gli argini, ti sei lasciato
travolgere dall'amore e dalla fede, ti sei buttato in ginocchio
e tu, per primo, hai osato dire ciò che nessuno prima aveva
osato neppure pensare; Gesù è Dio.
Senti, Tommaso, io ti voglio un sacco di bene e ringrazio te
Senti, Tommaso, io ti voglio un sacco di bene e ringrazio te
e il nostro comune Signore per come ti ha trattato.
Non credo sia un caso il fatto che il tuo amico Giovanni ti
abbia soprannominato "didimo", cioè gemello; davvero
mi assomigli.
Voglio affidarti, caro mio gemello, tutti quelli che-come te-non
si sono ancora arresi al Signore; io per primo, ma anche tutti
quelli, insomma, bastonati come te e me.
E anche gli scandalizzati da noi cristiani: che guardino al
Cristo piuttosto che ai suoi fragili discepoli.
Ciao amico e fratello; uomo dalla grande fede cristallina!
Buona Domenica della Misericordia a tutti, Fausto.