lunedì 28 dicembre 2020

La nostra condanna? Il nuovo coronavirus che proviene dall'Inghilterra e, cavalcato immediatamente dai media e dai nostri politici.

 
IL ''NUOVO' CORONAVIRUS INGLESE CI CONDANNA AD UNA

SITUAZIONE DI EMERGENZA FINO AL 2025

Stessi sintomi, stesse cure e probabilmente stesso vaccino, ma serve per

mantenere il clima di terrore per giustificare nuovi lockdown.

Lo scrivevamo poco tempo fa, prendendo spunto da un articolo di Science;

la crisi pandemica è destinata a durare fino al 2025.

Le notizie arrivate dall’Inghilterra hanno cominciato ad essere utilizzate per

aumentare il tasso di paura nella popolazione che è già di per se altissimo;

una “variante” del Sars-Cov 2 è stata identificata in Gran Bretagna, e il primo

aspetto che è stato enfatizzato è la sua rapidità di trasmissione, che sarebbe fino

al 70 per cento più elevata del virus finora dominante.

Il condizionale è d'obbligo, perché cosa sappiamo di questa cosiddetta variante

inglese del Covid-19?

È più mortale o più grave del ceppo originale?

Quali sono i sintomi e le differenze tra i due?

Al momento le informazioni disponibili suggeriscono che la nuova variante di Covid

scoperta in Inghilterra causa gli stessi sintomi del ceppo originale.

Chi contrae il virus può quindi avere febbre, tosse secca e stanchezza o anche dolori

muscolari, gola infiammata, mal di testa, congiuntivite, diarrea, perdita di gusto e olfatto.

Insomma gli stessi sintomi del ceppo virale identificato quasi un anno in Cina.

Compresi i sintomi gravi, come la difficoltà respiratorie.

Questo è ciò che proviene come informazioni dalle autorità inglesi.

Tuttavia la notizia è esplosa in modo psicologicamente devastante proprio perché fa

pensare all’opinione pubblica che dall’incubo pandemico non ci libereremo mai.

Nuovi ceppi virali vogliono dire nuovi lockdown, nuove emergenze ospedaliere,

il reiterarsi insomma degli scenari che abbiamo già conosciuto.

E questo nuovo incubo ha un nome che evoca scenari distopici o fantascientifici; mutazioni.

LE MUTAZIONI VIRALI SONO NORMALI

In realtà le mutazioni virali sono un evento che non ha nulla di eccezionale,

perché sono frequenti, quasi la norma in microbiologia.

Di fatto ci sono già state varie mutazioni di Covid-19 che si sono diffuse.

Non si vede dunque il perché di questa frettolosa enfatizzazione del pericolo

del New British Covid. 

Semmai questo allarme dovrebbe far riflettere sui rischi di quelle scelte riguardanti

le terapie da utilizzare contro il Covid-19 che possono aver selezionato un nuovo

ceppo e prodotto la mutazione.

Un’ipotesi preoccupante che si fa tra i ricercatori inglesi è che le mutazioni si siano

sviluppate in un paziente affetto da Covid-19 per circa due mesi e curato con l’antivirale

remdevisir, che potrebbe avere selezionato un virus in grado di sfuggire alle terapie.

Posto che-come sembra-la variante d’Oltremanica non sia più grave di quella fattaci

pervenire lo scorso anno della Cina, ci sono però una serie di interrogativi riguardanti

i nuovi scenari epidemiologici che potrebbero andare a configurarsi.

In primo luogo; è possibile riconoscere il nuovo ceppo mutato e distinguerlo

da quello originale?

Con il test sierologico certamente sì, ma con i tamponi al momento nella stessa

Inghilterra non è possibile individuare specificamente la nuova variante.

Quindi-almeno per un po' di tempo-il virus venuto da Albione rappresenterà soprattutto

una minaccia fantasma, utile però per rinfocolare la paura e giustificare nuovi lockdown.

NULLA CAMBIA PER I VACCINI

La domanda cruciale poi che molti si pongono è; cosa cambia per i vaccini?

Nulla, è la risposta.

La road map dell’organizzazione vaccinale prosegue-lei sì-senza alcuna mutazione.

Dal presidente del Consiglio superiore di sanità Franco Locatelli al virologo Fabrizio

Pregliasco, a Giacomo Gorini, ricercatore dello Jenner Institute dell'Università  di

Oxford, sono arrivate immediatamente ferme e sicure rassicurazioni; i vaccini

predisposti contro il Coronavirus dovrebbero mantenere la loro efficacia.

Tuttavia, secondo un importante immunologo, il professor Andrea Cossarizza, è

assolutamente prematuro ipotizzare se la mutazione possa inficiare l’effetto del vaccino. «Dobbiamo basarci su evidenze scientifiche di cui oggi non siamo in possesso», ha affermato.

In realtà sappiamo bene che esistono virus, come quelli influenzali, che mutano

continuamente e che di conseguenza fanno sì che ogni anno si debbano mettere a

punto nuovi vaccini.

Potrà essere questo lo scenario futuro del Covid?

Diventare un virus stagionale che muta anno per anno, e che ogni anno richiede

milioni di nuove vaccinazioni? Potrebbe essere.

A questo punto però è lecito chiedersi, di fronte ad un virus con queste caratteristiche,

se la soluzione vera non stia nella ricerca sui farmaci che possano efficacemente

curare il Covid, in tutte le sue possibili versioni mutate.

Una soluzione più semplice e a portata di mano con le scoperte e le evidenze

scientifiche in materia di terapia che stanno emergendo.

L’autore del precedente articolo, Paolo Gulisano, nell’articolo seguente dal

titolo “Covid fino al 2025, l'assist di Science per il Grande Reset” spiega che

tale affermazione non è sostenuta da nessuna evidenza medica e cozza con

la storia delle grandi epidemie.

Tutto è funzionale a mantenere il clima di terrore, con inevitabili conseguenze

sul piano economico, politico e anche antropologico.

Ecco l’articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 19

dicembre 2020: “Da qualche tempo si parla di Great Reset; il grande rivolgimento

economico, sociale, politico, mondiale che è stato avviato utilizzando l’epidemia

di Covid. Complottismo? Decisamente no.

Basta andare a guardare il numero del 13 novembre dell’importante rivista Science

per capire che il Covid, se non ci fosse, bisognerebbe proprio inventarlo, tanto

è utile ai grandi cambiamenti, che necessariamente richiedono tempo.

E così Science ci dice che l’emergenza Covid durerà fino al 2025, e che fino a

tutto il 2022 si dovranno mettere in atto provvedimenti restrittivi delle libertà.

Da un punto di vista strettamente medico, è un’affermazione quantomeno singolare.

Le grandi epidemie del passato, dalla Spagnola all’Asiatica, fino alla Sars del 2002,

non sono mai durate più di un anno.

Per quale motivo questo virus dovrebbe continuare a circolare imperterrito per

altri cinque anni?

Non viene data alcuna spiegazione scientifica.

È una mera ipotesi, che va contro l’evidenza di tutta la storia delle epidemie.

Ma il vaccino?

Non sarà lui, come ci viene annunciato da tempo, a liberare il mondo dal grande incubo?

Non è detto, ci dice Science.

Gli esseri umani sono infettati da diversi coronavirus stagionali con reazioni crociate.

Nessuno provoca un’immunità completamente protettiva e le infezioni ripetute

sono la norma.

I vaccini tendono ad essere meno efficaci delle infezioni naturali nel provocare

l’immunità e ci sono rischi di reazioni crociate avverse.

Un ricercatore, Chadi M. Saad-Roy, ha quindi utilizzato una serie di modelli

semplici per una varietà di scenari immunitari per prevedere futuri immunologici

per la Sars-Cov-2, con e senza vaccini.

I risultati del modello mostrano che la nostra conoscenza imperfetta del panorama

immunitario imperfetto del coronavirus può dare origine a scenari divergenti che

vanno dalle epidemie gravi ricorrenti all’eliminazione.

Sì, alla fine il Covid dovrebbe sparire, ma-ci viene detto-ci vorranno cinque anni.

Il tempo di una guerra, più o meno la durata della Prima (1914-1918) e della

Seconda Guerra Mondiale (1939-1945).

Fino al 2025 dovremmo vivere nella paura, nel terrore.

E questo piano quinquennale avrà inevitabili conseguenze economiche

e politiche, ma anche psicologiche e perfino antropologiche, a nostro avviso.

Il Grande Reset, appunto.

Secondo lo studio in questione, le misure di allontanamento sociale come le

restrizioni alle riunioni pubbliche potrebbero dover rimanere in atto a intermittenza

per almeno un altro paio di anni per contenere la diffusione del Covid-19.

Queste dure misure che hanno già spinto l’economia mondiale in recessione

potrebbero essere necessarie perché, secondo le proiezioni dei ricercatori, nuovi

focolai di Sars-Cov-2 potrebbero (il condizionale è d'obbligo) ripresentarsi ogni inverno.

Ancora, e i vaccini?

I ricercatori ammettono che potrebbero rivelarsi non sufficientemente efficaci.

Almeno fino al 2024.

Secondo lo studio, le ricorrenti epidemie invernali di Sars-Cov-2 si verificheranno

nel corso dei prossimi anni dopo l’iniziale ondata pandemica più grave.

Quindi, secondo le proiezioni dei ricercatori, che curiosamente escludono qualsiasi

scoperta farmacologica atta a curare il virus, oltre a negare-ma questo sappiamo che

è parte del pensiero mainstream-possibilità di trattamenti già esistenti, e persino

mettendo appunto in dubbio l’immediata efficacia dei vaccini, non resta che continuare

il distanziamento intermittente.

È molto probabile che tali modelli teorici verranno presto tradotti a livello internazionale

in strategie di azione sanitaria ma anche in politiche economiche.

Ciò avrà come conseguenza uno stato di guerra permanente, uno sconvolgimento

della vita di milioni di persone, costrette a vivere con sempre minori libertà, aspettando

che si formi un’immunità di gregge tale da far dichiarare cessato il pericolo.

Anche se non è da escludere che la micidiale minaccia di nuove sedicenti epidemie

non venga continuamente sbandierata da chi ne ha tutto l'interesse.

È il caso di Mark Dybul-uno stretto collaboratore del mitico virologo americano Anthony

Fauci - che nei giorni scorsi ha parlato di prossime future nuove pandemie.

Insomma, il clima di terrore e insicurezza deve continuare, e per i prossimi cinque anni

la parola Covid non scomparirà affatto.

Il tutto, lo ribadiamo con forza, contro ogni evidenza, perché in realtà il Covid potrebbe

estinguersi in breve tempo come hanno fatto prima di lui tutti i virus pandemici.

Dovrebbero proprio spiegarci perché il virus venuto da Wuhan dovrebbe

comportarsi diversamente.

Però, non vorrei che il nostro attuale governo cavalcasse l’onda di questa pandemia,

per non andare a elezioni e rimanere in sella per altri quattro anni, stiamo a vedere

da buoni italiani, ubbidienti.

venerdì 6 novembre 2020

Non voglio negare che ci sia il Covid, ci mancherebbe, ma mi infastidisce che con la scusa del Covid, vogliano renderci schiavi di questo governo di incapaci.

 
Corona virus; stiamo perdendo la libertà. Anche di pensare.

Il potere non ha nemmeno più bisogno di alzare la voce perché la perdita della

libertà non è più avvertita come tale ma passa come grande senso di responsabilità

Un dispotismo statalista, condiviso e terapeutico.

Questo il tipo di regime nel quale ci troviamo immersi.

Perché parlo di dispotismo statalista, condiviso e terapeutico?

Con la pandemia sono state sospese le abituali procedure costituzionali e abbiamo

smesso di essere una Repubblica parlamentare.

Lo strumento dei decreti della presidenza del Consiglio ha assunto una centralità

e una preminenza assoluta.

È come se tutti (politica e cittadini) di fronte a uno stress test avessimo proclamato

che diritti costituzionali di libertà e parlamentarismo sono lussi che ci possiamo

permettere quando tutto va bene, ma non di fronte a una grave difficoltà.

Poiché accanto alla disinvoltura del governo nella sospensione dei diritti di libertà

c’è stata la naturalezza dell’opinione pubblica nell’accettare il tutto, un nemico

della libertà può averne tratto utili insegnamenti; è stato dimostrato che è molto

facile sospendere le garanzie costituzionali e imprimere al sistema una svolta

in senso autoritario.

Se la situazione di emergenza si dilatasse, sino a essere presentata e percepita

come la normalità, che cosa succederebbe?

Chi può assicurarci che in futuro un pericolo non potrebbe essere creato di proposito?

C'è il rischio che lo stato di emergenza sia istituzionalizzato?

Di certo al nostro sistema democratico liberale è stata inferta una ferita profonda,

ma pochi reagiscono.

Parlo di dispotismo perché il governo ha assunto una centralità senza precedenti.

Ma che tipo di dispotismo è?

È un dispotismo condiviso, perché opinione pubblica e mass media l’hanno

giustificato, assunto e fatto proprio.

Così in un certo senso ha ripreso vita il Leviatano di Hobbes, il colosso autoritario

che tutto controlla in cambio della sicurezza che gli individui ritengono di non

essere in grado di darsi.

È anche un dispotismo statalista perché tutto è stato demandato all’iniziativa statale;

l’iniziativa privata e dei corpi intermedi non è stata nemmeno presa in considerazione.

Lo Stato è percepito come istituzione non solo e non tanto gestionale, ma salvifica.

È poi un dispotismo terapeutico, perché la Salute è divenuta un assoluto, il politico

ha preso le sembianze del medico, il cittadino è diventato un paziente e la nazione

un ospedale.

Di qui un rapporto asimmetrico che favorisce il dispotismo stesso; non più il rapporto

tra politico e cittadino, tra rappresentante e rappresentato, ma appunto il rapporto

medico-paziente (che mette il paziente nelle condizioni di non discutere).

Sullo sfondo ecco il dogmatismo scientista, per cui “l’ha detto la scienza!” diviene

sinonimo di verità assoluta.

Ma non si tiene conto del fatto che la scienza, in realtà, non ha mai risposte certe.

La scienza può solo studiare, mettere a confronto, analizzare dati.

Quella di ottenere dalla scienza risposte certe è un'illusione.

Questo dispotismo statalista, condiviso e terapeutico rivela, paradossalmente,

tante debolezze.

Debolezza della politica, che si è messa nelle mani della tecnoscienza riconoscendosi

incapace di affrontare i problemi.

Debolezza dell’esecutivo che si è fatto cogliere impreparato ed è diventato autoritario

nel tentativo di recuperare.

Debolezza dello Stato, che ha risposto con la solita farraginosità e si è lasciato

comandare dagli organismi sovranazionali.

Debolezza della cosiddetta società civile, del tutto passiva.

Debolezza della Chiesa, che si è prontamente allineata al dispotismo e alla

narrazione dominante.

In generale, debolezza antropologica dell’uomo contemporaneo, che pretende di

essere messo al riparo da ogni tipo di contagio ed è spinto a chiedere protezione

ignorando di avere in sé le risposte per reagire.

Dispotismo paternalista.

Aggiungo che è un dispotismo paternalista, perché ripete che lo fa per il nostro

bene (si pensi al provvedimento denominato Cura Italia), ma nei fatti si

comporta in modo autoritario.

Decisivo è il ruolo dell’informazione.

Questo dispotismo, per sussistere e affermarsi, ha bisogno del sostegno attivo dei

mass media, chiamati ad alimentare una narrativa fondata sul terrore.

È la paura che giustifica il ricorso al dispotismo, e la paura va nutrita, diffusa.

Il collegamento tra dispotismo condiviso e informazione è strettissimo e necessario.

Grazie alla paura, il cittadino (divenuto paziente) può solo lasciarsi guidare.

La nascita, in piena pandemia, di una task force governativa contro le fake news

è significativa.

In una democrazia liberale sono i cittadini che si fanno un’idea del problema

attraverso il libero confronto delle fonti e delle opinioni.

In questo caso invece il governo ha preteso di stabilire esso stesso che cosa è

verità e che cosa è menzogna, che cosa è vera informazione e che cosa non lo è,

quali notizie e interpretazioni sono degne di essere diffuse e quali vanno stoppate.

Biopolitica e bioinformazione vanno a braccetto sul terreno del dispotismo paternalistico.

Aldous Huxley nel suo romanzo distopico il mondo nuovo immaginò che il

condizionamento avvenisse di notte, mentre i soggetti dormivano, attraverso la

somministrazione di un certo tipo di messaggi: “Vediamo il nostro governo,

sempre riunito di notte, quando deve decidere cosa propinarci”.

Oggi il condizionamento avviene davanti alla tv all’ora del telegiornale.

Una narrativa adeguata può spingere un intero popolo a suicidarsi per la paura di morire.

È ciò che stiamo vedendo.

Non conta la reale portata del pericolo, ma la portata percepita.

Non conta ciò che è, ma ciò che la gente pensa che sia, sulla base della narrativa

che le viene imposta.

Renaud Girard, su Le Figaro, ha scritto: “I sociologi dovranno analizzare attentamente

il ruolo svolto dai media nel far sorgere una psicosi mondiale di fronte a una malattia

poco letale”.

Nella speranza che saremo ancora liberi di condurre queste analisi.

Il contagio del panico.

Un altro contagio si è sviluppato accanto a quello del coronavirus, ed è ben più

pericoloso; il contagio del panico.

Sotto molti aspetti è come se avessimo vissuto una classica rivoluzione di

stampo socialista.

Abbiamo avuto l’ideale supremo (la Salute), trasformato in un assoluto rispetto al

quale tutto è sacrificabile.

Abbiamo avuto il terrore come arma.

Abbiamo avuto la narrativa adeguata allo scopo.

Abbiamo i guardiani della rivoluzione, tutti i cittadini “responsabili”, soldati pronti

anche alla delazione.

Abbiamo avuto l’attacco alla Chiesa.

Con la novità che la Chiesa; “scusate, gli uomini di Chiesa, che non è la stessa cosa”,

anziché opporre resistenza, si è adeguata, dimostrandosi persino più realista del re.

Prevedibile, visto che gli uomini di Chiesa non mettono più al centro Dio ma l’uomo,

non la salvezza dell’anima ma la salute psicofisica.

La parola Responsabilità è diventata la bandiera dell’esercito combattente

per la liberazione dal virus.

Chi non si adegua è irresponsabile, è il nemico.

I drappi sui balconi ("Andrà tutto bene") assomigliano agli slogan sui muri

Dell’Avana: "Venceremos, Hasta la victoria siempre.

Ogni rivoluzione ha le sue parole d’ordine.

Nel nostro caso, oltre alla parola Responsabilità, ecco Salute, Sicurezza,

Collaborazione. [ecc, ecc].

Abbiamo vissuto nel conformismo assoluto, che si realizza quando colui che

perde la libertà non se ne rende nemmeno conto, perché è auto-asservito.

Così il potere non ha nemmeno più bisogno di alzare la voce.

Quanto più totale è il suo potere, tanto più muto è il suo comando.

Basta un cenno. Noi non pensiamo.

Noi siamo ciò che ci vien detto di essere.

Siamo indotti ormai a ritenere che abbiamo bisogno solo di ciò che ci viene imposto.

Il sospetto di aver perso la libertà non ci sfiora nemmeno, perché il conformismo

non è più avvertito come tale ma passa come grande senso di responsabilità.

Curioso; nel momento stesso in cui la Chiesa ha disertato, ecco che ci vengono

imposti modelli di stampo religioso.

Abbiamo una Trinità (Scienza, Salute, Sicurezza), abbiamo il peccato (non collaborare,

non dimostrarsi responsabili), abbiamo il castigo (essere letteralmente scomunicati,

messi fuori dalla comunità in quanto indegni, se non si accetta la narrativa dominante),

abbiamo le sacre scritture (i mass media allineati), abbiamo l’impellente richiesta

di convertirci (alla tecnoscienza), abbiamo l’identificazione del credere con la salvezza,

abbiamo i nuovi bacchettoni che giudicano tutto e tutti e mettono fuori dal consesso

civile i pochi non disposti ad allinearsi, visti come miscredenti.

Perdere la ragione e di conseguenza la libertà.

La nostra cultura secolarizzata, abbandonata la ratio, è caduta nel fideismo.

Per non dire nella superstizione.

Su tutto, occorre ripeterlo, domina la paura.

La paura che fa perdere il senno.

Che fa accettare il sacrificio della libertà.

Che fa vivere il conformismo assoluto come azione catartica.

Il Leviatano ci ha soggiogati utilizzando il terrore.

Abbiamo dimenticato che l’esercizio del potere in un sistema democratico liberale

è soggetto alla legge e che più di una dittatura è salita al potere dopo aver ottenuto

il consenso in base a quelle che erano state spacciate come buone intenzioni.

Il nostro sistema possiede già gli strumenti per contemperare il rispetto della riserva

di legge con l’urgenza (il decreto legge ne è un esempio), ma si è seguita un’altra strada.

La riserva di legge si chiama così perché riserva alla legge primaria, escludendo fonti

di tipo secondario, la regolazione di una determinata materia.

È una funzione di garanzia; vuole assicurare che in materie particolarmente delicate,

come nel caso dei diritti fondamentali del cittadino, le decisioni vengano prese

dall’organo più rappresentativo del potere sovrano, ovvero dal Parlamento, come

previsto dall’articolo 70 della Costituzione, secondo cui la funzione legislativa è

esercitata dalle due Camere.

Nessun provvedimento che limiti le libertà fondamentali può essere preso saltando

le prerogative parlamentari.

Ma tutto è stato spazzato via dalla narrativa del terrore.

Abbiamo perfino dimenticato che lo Stato riceve il potere dal popolo, non è il popolo

che ottiene concessioni dallo Stato.

Abbiamo dimenticato che è consentito tutto tranne ciò è espressamente vietato,

non è vietato tutto tranne ciò che è espressamente consentito.

Il prezzo che stiamo pagando è e sarà salatissimo sotto tutti i punti di vista;

economico, sociale, psicologico.

Lo Stato togli la fatica di dover pensare.

C'è il tentativo di farci vivere non più in uno stato di diritto, ma in uno stato di

polizia, in uno stato d’eccezione permanente.

Siamo di fronte, occorre dirlo, a un tentativo eversivo.

Pian piano le garanzie costituzionali saranno viste sempre di più come inutili pesi.

E che cosa potrà impedire di approdare a adattamenti tali da snaturare completamente

il sistema democratico liberale, magari puntando ancora sulla Salute?

Già ora vediamo che lo stato di polizia inizia a contemplare l’ipotesi di introdursi

nelle nostre case, mentre sollecita la delazione.

Come nei Paesi dell’Est Europa prima della caduta del Muro.

Alexis de Tocqueville, analizzando il potere, specialmente amministrativo, negli

Stati Uniti da lui visitati e studiati nel primo Ottocento, lo definì utilizzando cinque

aggettivi: “È assoluto, particolareggiato, regolare, previdente e mite” (La democrazia

in America).

Mi sembra l’immagine di ciò che abbiamo sotto i nostri occhi.

Conseguenza di quel tipo di potere, osserva Tocqueville, è che lo Stato cerca di

mantenere i cittadini in una perenne condizione infantile.

Lo Stato si occupa di loro, provvede a loro, toglie a loro “la fatica di dover pensare”.

“Piccole regole complicate, minuziose e uniformi” non sembrano costituire un pericolo

per la democrazia liberale, ma inesorabilmente infiacchiscono, piegano, dirigono.

Il popolo diventa massa informe; cioè, pecore, desiderosi soltanto di lasciarsi guidare.

Questo tipo di Stato non è il classico tiranno che fa la voce grossa e minaccia.

No, è quasi gentile.

Però (uso ancora le espressioni di Tocqueville) “ostacola, comprime, snerva, estingue,

riducendo infine la nazione a non essere altro che una mandria di animali timidi”

le pecore, appunto, e quindi bisognosi di un pastore.

Il dispotismo amministrativo non è segno di forza dello Stato, ma ammissione

della sua debolezza.

Poiché il potere centrale non è sicuro di sé ma è debole, incerto, smarrito,

ecco che pretende di regolare tutto.

Quando poi, come nell’attuale caso italiano, il capo del governo è un politico che

non è stato nemmeno eletto dal popolo, il suo intimo senso di insicurezza è ancora

più accentuato.

Di qui una maggiore carica dispotica, tesa a legittimare un mandato che il capo

sa di non aver mai ricevuto.

Dietro le mascherine un esercito di servi sottomessi.

Molti italiani tengono la mascherina anche se la legge non lo impone più e non

ci sono motivi sanitari per farlo (sono i tipici seguaci degli aspiranti tiranni,

contenti di obbedire senza doversi prendere la responsabilità di sé).

Ecco amici le fogne in cui ci stanno spingendo gli appartenenti del nostro governo

di incapaci e, non essendo capaci di amministrare il paese, vogliono terrorizzarci

con la scusa del covid.

martedì 3 novembre 2020

Purtroppo amici ho una sensazione strana, spero non sia vero, ma da certe fonti amiche mi è pervenuto un sussurro diabolico, la sospensione delle celebrazioni liturgiche causa covid-19, un accordo tra Cei e governo.

 

Governo e vescovi, d’accordo su un’altra sospensione delle Messe?

Una quarantena interminabile ci priverebbe, dopo averlo fatto con la Pasqua,

anche del Santo Natale.

L’insistente propaganda mediatica sul Covid, la propaganda della paura finalizzata

a restringere sempre più le libertà, col pretesto di tutelare la salute pubblica dalla

minaccia di un nemico che avanza inesorabile, sembra trovare un interlocutore

che accoglie con zelo e pieno consenso la narrazione governativa.

Si tratta, e spiace dirlo, dell’Episcopato, vedi il periodico Avvenire.

La Chiesa in Italia è sempre più una Chiesa patriottica, una Chiesa di Stato, ovvero,

una Chiesa le cui posizioni e i cui giudizi collimano perfettamente con quelli del Governo.

Circolano sempre più insistentemente le voci che la Conferenza Episcopale Italiana

non avrebbe nulla da eccepire su una richiesta di parte governativa di chiusura delle

chiese, di sospensione delle Messe e della celebrazione dei Sacramenti.

Anzi; a leggere le dichiarazioni rilasciate nei scorsi giorni dal sottosegretario della

Cei monsignor Stefano Russo, la Chiesa stessa sarebbe pronta a sacrificare nel nome

della sanità pubblica le proprie attività liturgiche e pastorali.

Una Chiesa in totale ritirata.

Il motivo sarebbe, come lo fu in occasione della prima chiusura, dall’inizio della

Quaresima fino a maggio, evitare che le celebrazioni liturgiche possano diventare

occasione di contagio.

Ma è da crederci che questo rischio sia reale?

Se così fosse, vorrebbe dire che i protocolli concordati tra Cei e governo e che sono

in vigore da maggio sono insufficienti.

Ma questo non è sostenibile; a maggio infatti il numero dei casi, dei ricoveri,

dei decessi, era estremamente più alto dell’attuale.

Come mai ora queste Messe biocompatibili, a numero chiuso, con distanziamenti,

con mascherine, con igienizzazioni, spesso senza più panche, spesso col divieto di

inginocchiarsi, col divieto di ricevere la Comunione secondo quanto stabilito dalle

norme canoniche della Chiesa stessa, cioè in bocca, non sarebbero più sicure, tanto

da indurre alla serrata liturgica?

Ci sono elementi di tipo igienico-sanitario che possano rendere necessaria questa misura?

A noi addetti ai lavori non risulta.

Nessun focolaio di casi ha preso il via da una Messa, da una confessione, da un Battesimo.

Se i vescovi hanno dei dati epidemiologici diversi sarebbe opportuno che li rendessero noti.

Sarebbe interessante sapere come sarebbe possibile la trasmissione del virus in condizioni

di limitazioni di contatti come quelli delle attuali celebrazioni che non hanno eguali in

nessun’altra attività pubblica; né ai supermercati, nei bar, nei ristoranti o nei negozi

o per le strade esistono misure tanto drastiche come quelle che vigono nelle chiese.

Quindi, non esistono motivi e ragioni di tipo sanitario per tornare alla sospensione delle

Messe, alle chiusure di quelle che un tempo vicinissimo, ma che ora sembra infinitamente

remoto erano le attività pastorali.

Il timore di molti fedeli è inoltre che tale sospensione potrebbe essere a tempo

indeterminato, forse addirittura fino alla messa in commercio del rimedio

farmacologico tanto auspicato da ambienti ecclesiali anche di vertice.

Un tempo di contumacia indefinito.

Una quarantena interminabile, che ci priverebbe-dopo averlo fatto con la Pasqua-anche

del Santo Natale.

Se davvero la Cei intendesse accettare questo tipo di imposizione, o addirittura

volesse per prima operare una sua spontanea rinuncia, si assumerebbe una gravissima

responsabilità di fronte al popolo di Dio.

La responsabilità di privarlo di ciò che i cristiani hanno di più caro, cioè la presenza

reale di Nostro Signore, che si realizza attraverso i sacramenti, a cominciare dall’Eucaristia.

Qualche prelato, durante il lockdown della scorsa primavera, ironizzò sulla “fame

eucaristica” dei fedeli, visti come “zeloti”, quasi come dei fanatici insensibili al

dramma sanitario che stava andando consumandosi.

Oggi sarebbe difficile continuare a sostenere questa tesi, soprattutto davanti a un

quadro epidemiologico molto mutato, con un virus che si può curare e guarire.

Se una certa Chiesa crede che queste scelte, che comporterebbero il ritorno alle

celebrazioni in streaming, che hanno il solo vantaggio di far sì che la casalinga

possa continuare a preparare il sugo lanciando ogni tanto un’occhiata allo schermo,

unisca e affratelli tutti i fragili e i disperati e li renda uguali nella stessa sorte, tutti

sulla stessa barca, si sbaglia di grosso.

La sospensione del culto pubblico avrebbe il solo effetto di allontanare definitivamente

la Chiesa dagli uomini, di renderla definitivamente inutile, di farla sparire per lasciare definitivamente campo libero ad una nuova, parodistica, religione dell’umanitarismo,

un politeismo di fatto nel cui pantheon un ruolo determinante lo rivestirebbe la Dea Salute.

Di conseguenza ci ridurremo come la chiesa cinese, dove decide il governo cosa

deve o non deve fare.

Vogliamo una Chiesa così? Io no, non la voglio una Chiesa.

Io voglio una Chiesa vera con uomini di Chiesa che mi parlino del Dio di Gesù.

Ecco amici una vera follia, se dovesse succedere, spero di no, spero proprio di

sbagliarmi, ma la paura che succeda è reale.

Ma se dovesse succedere, sarei il primo ad incolpare gli uomini di Chiesa di tutto

questo, e sarei anche il primo a fare marcia indietro ed abbandonare i fantomatici

uomini di Chiesa.

E se succedesse, lo farei apertamente, ve lo comunicherei dalle mie pagine,

ma continuerei a commentare il Vangelo come sto facendo ogni giorno,

continuerei a parlarvi del Signore Gesù, quello vero e non quello farlocco,

buona giornata Fausto.