La tenerezza di Gesù.
Sanno che Gesù è risorto: glielo
hanno detto alcune discepole.
Ma, si sa, sono donne, emotivamente
instabili, facilmente
suggestionabili.
E la notizia dell'assenza del
cadavere del Maestro è stata
confermata da alcuni apostoli.
Ma, si sa, loro sono stati talmente
travolti dagli eventi
che, probabilmente, vedono lucciole
per lanterne.
Tornano ai loro affari, i due discepoli.
Tornano ai loro affari, i due discepoli.
Alle loro occupazioni: hanno pensato
che il Nazareno fosse
il Messia, quello che avrebbe
regnato per mille anni su
Israele sbaragliando i suoi nemici.
Invece è morto, nel peggiore dei
modi.
Si allontanano dalla comunità, come
fanno molti di noi,
delusi da Dio.
Di uno di loro sappiamo il nome, Clèopa,
un personaggio
conosciuto nella primitiva comunità.
L'altro, invece, non
ha nome: ognuno metta il suo.
Sono tristi, i discepoli, e parlano delle loro disgrazie.
Sono tristi, i discepoli, e parlano delle loro disgrazie.
Tristi, e si caricano a vicenda,
facendo a gara a chi si butta
più giù, come si fa, a volte, fra
persone scoraggiate.
Come se ci fosse un premio da
vincere: lo sfortunato del mese.
Il loro cammino è di reciproca
lamentazione, di
progressivo affossamento.
Sconcertante.
Sconcertante.
È terribile avere a che fare con
persone che, quando vedono
che sei afflitto, invece di
incoraggiarti iniziano anch'esse
a fare l'elenco delle loro
disgrazie.
Mal comune non fa mai mezzo gaudio.
Spesso, fa doppia tristezza.
Mal comune non fa mai mezzo gaudio.
Spesso, fa doppia tristezza.
Gesù si avvicina e cammina con loro.
Non se ne accorgono, come potrebbero?
Non se ne accorgono, come potrebbero?
Non alzano lo sguardo da loro stessi
per incrociare lo
sguardo del Signore.
Sono talmente pieni del loro santo
dolore da non accorgersi
che la ragione della loro sofferenza
non esiste più!
Sono incapaci di uscire dalla gabbia che si sono creati.
E li prende per il naso.
Perché quella faccia? Maleducato!
Sono incapaci di uscire dalla gabbia che si sono creati.
E li prende per il naso.
Perché quella faccia? Maleducato!
Sono offesi, ora, i discepoli.
Da dove viene questo rompiscatole?
Non si vede a sufficienza che sono
tristi?
Non hanno il volto sufficientemente
disperato?
Come si permette questo sciocco
straniero di interrompere
le loro lamentazioni?
Non sa della situazione mondiale?
Del terrorismo? Della crisi
economica?
Ci rassicura, il dolore, ci dona identità, ci identifica.
Ci rassicura, il dolore, ci dona identità, ci identifica.
A volte, purtroppo, in un percorso
insalubre e folle,
finiamo col coltivare questa
identità.
Finiamo col coltivare il dolore.
Finiamo col coltivare il dolore.
Ho perso
un figlio.
Sono un
esodato.
Mio
marito mi ha lasciata.
Ho avuto
un'infanzia terribile.
Diventiamo il nostro dolore.
Diventiamo il nostro dolore.
Questi diventa il nostro segno di
riconoscimento: così ci
presentiamo, così vogliamo che ci
riconoscano, sperando,
magari, in un cenno di benevolenza,
in un gesto di compassione.
Illusi.
Quando capiremo che la gente fugge il dolore come la peste?
Illusi.
Quando capiremo che la gente fugge il dolore come la peste?
È da abbandonare, il sepolcro, da
superare, non da usare
come segno di riconoscimento.
Sono offesi, i discepoli restati orfani.
Cosa è successo? Chiede il risorto.
Parlano della sua croce, e Gesù nemmeno se ne ricorda.
E pronunciano la frase più triste dell'intero vangelo.
Noi speravamo. Che tristezza.
Sono offesi, i discepoli restati orfani.
Cosa è successo? Chiede il risorto.
Parlano della sua croce, e Gesù nemmeno se ne ricorda.
E pronunciano la frase più triste dell'intero vangelo.
Noi speravamo. Che tristezza.
La speranza è sempre rivolta al
futuro.
Declinarla al passato significa
ammetterne il totale fallimento.
È difficile accettare il fallimento
di un progetto, di un'azienda,
di un gruppo parrocchiale.
Il fallimento della speranza porta alla morte interiore.
Il fallimento della speranza porta alla morte interiore.
Noi
speravamo: che sciocchi siamo stati a seguire
il Nazareno,
a credere che fosse lui il Messia!
Che ingenui!
Noi
speravamo: ci siamo illusi, siamo stati degli
idioti abissali,
non abbiamo giustificazioni!
La speranza è morta su quella maledetta croce.
La speranza è morta su quella maledetta croce.
È morta e sepolta con Gesù, nel
sepolcro regalato da
Giuseppe di Arimatea.
Quanti ne conosco di discepoli così, tristi e rassegnati!
Noi speravamo, dicono i discepoli.
Quanti ne conosco di discepoli così, tristi e rassegnati!
Noi speravamo, dicono i discepoli.
E intanto il Signore che credono
morto cammina con loro.
Descrivono con dovizia di
particolari le vicende che riguardano
il Maestro, i discepoli restati
orfani.
Si aspettano comprensione,
compassione.
Ottengono uno schiaffo in pieno
volto.
Sciocchi e tardi, dice loro lo straniero.
Sciocchi e tardi, dice loro lo straniero.
La sua provocazione li scuote, li
costringe ad alzare lo sguardo.
Cosa sta dicendo questo maleducato?
Cosa sta dicendo questo maleducato?
Come si permette?
Sciocchi a tardi nel credere, insiste.
Sciocchi a tardi nel credere, insiste.
Gesù spiega il senso di quella
sofferenza, della sua sofferenza,
e li aiuta a rileggere tutti gli
eventi in una chiave diversa,
più ampia, a leggere il dolore alla
luce del grande disegno di Dio.
Sono fermi alla croce, i discepoli del risorto.
Sono fermi alla croce, i discepoli del risorto.
Possiamo continuare a fissare il
bruco, senza accorgerci che
sta per diventare una farfalla.
Non sempre chi ti dà una carezza ti vuole bene.
Non sempre chi ti dà uno schiaffo ti vuole del male.
Non sempre chi ti dà una carezza ti vuole bene.
Non sempre chi ti dà uno schiaffo ti vuole del male.
A volte una bella scrollata ci
distoglie dal dolore e ci aiuta
a vedere le cose in maniera diversa.
Arde, ora, il cuore dei discepoli.
Arde, ora, il cuore dei discepoli.
Il loro dolore inutile,
paradossalmente gratificante, è spazzato
via dalla Parola che riscalda e
illumina.
Tutto acquista senso, una dimensione
nuova.
La loro vita, riletta alla luce del
grande progetto di Dio,
assume un colore completamente
diverso.
Ancora Buona Pasqua, cercatori di
Dio, rallegriamoci; è Risorto.
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